Sarà perché il Governo ha tirato dritto sul Jobs Act, sarà perché la crisi di rappresentanza dei “corpi intermedi” morde sempre di più, sarà a motivo della fine della “concertazione” rottamata da Matteo RENZI, ma qualcosa nel sindacato non torna, o torna diversamente rispetto ai compiti fondamentali del sindacato. Nel senso che si fa sempre più vistosa una certa deriva politicista in concorrenza con il sistema dei partiti (che a loro volta, come è sotto gli occhi di tutti, già non se la passano troppo bene). Tre fatti. Il segretario-leader della Fiom (i metalmeccanici della Cgil) Maurizio LANDINI prospetta uno sbarco sul teatro politico. Non farà un partito, ha spiegato, ma è aperta la “sfida a Renzi” oltre “alla normale azione contrattuale”. Sfida che consiste “nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentaza sindacale”. A sua volta, la leader della Cgil, Susanna CAMUSSO, lancia la campagna per una proposta di legge di iniziativa popolare che “riconosca a tutti gli stessi diritti” (insomma, ripristino dell’art. 18, ndr) e non esclude un referendum abrogativo del Jobs Act. Mentre Annamaria FURLAN, numero uno della Cisl, presenta un disegno di legge di inziativa popolare per garantire un bonus da 1000 euro per chi guadagna fino a 4o mila euro lordi l’anno, tagliare le imposte sulle prime case “normali”, e incamerare “un piccolo contributo di solidarietà da chi è più ricco, quel 4% delle famiglie che detiene oltre il 50% della ricchezza in Italia” (leggasi una patrimoniale, ndr).
LANDINI, CAMUSSO, FURLAN. Tre iniziative pressoché simultanee (anche se ciascuno in concorrenza critica con gli altri) che hanno uno sbocco a tutto tondo politico. Meno contratti (che dovrebbe essere il primo compito dei sindacati) e più politica in chiave anti-Renzi, viene da osservare, semplificando. Un nuovo orizzonte, anzi un nuovo fronte di battaglia, da tenere sott’occhio.